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Gli arcobaleni più forti delle bombe a Foggia

Correva un pomeriggio di primavera deserto ed assopito in quel primo aprile dell’anno secondo Covid, fra strade spopolate e silenzi surreali per una città di oltre 150.000 esseri umani. Il mostro, disegnato dai bambini con una corona in testa e capelli a spillo, aveva mangiato una generazione di nonni in soli due mesi, spargendo in ogni urbe, desolazione, paura e sconforto. Nella città della “fossa” ci si preparava a trascorrere l’ennesimo pomeriggio in casa, un rituale forzato, rallentato dai ritmi della quarantena ma invogliato dalla speranza di poter tornare presto alla vita frenetica, rumoreggiante fatta di strette di mano, gesti fisici e circondati da quel sole che solo il tavoliere così arido, giallo e profumato di grano è capace di regalare.

Alcuni anni prima, quella stessa terra aveva dato i natali ad un giovane promettente pittore e ritrattista che ebbe fortune nel resto del paese e che ricambiò la sua devozione con alcune opere di indubbio spessore ed ossequiosa riconoscenza come L’Illuminato (del 1856 – Municipio di Foggia) e Preghiera (del 1864). Si chiamava Vincenzo Acquaviva. Ed anche la città, riconoscente e compiacente, gli intitolò una strada a ridosso di una piazza intitolata ad un altro monumento della legalità del nostro tempo, Aldo Moro. E da questo incrocio fra arte e legalità, che molti anni dopo il papà di un ragazzo di nome Stefano, amorevolmente accudito e successivamente deceduto presso una struttura residenziale chiamata “Il Sorriso”, per ricambiare le attenzioni ricevute dal povero figlio, decise di donare il proprio immobile sito in Via Vincenzo Acquaviva a Luca Vigilante, amministratore del centro “Il Sorriso”, in segno di riconoscenza e stima.

Ma in quella terra, così bella ed altrettanto dura, in pochi avrebbero convertito quell’immobile a favore dell’assistenza ai più deboli, rinunciando ad inaspettato provento. Tuttavia se il compiaciuto papà di Stefano originò tale scelta, in cuor suo sapeva di poter contare su persone che l’avrebbero certamente eretto a sostegno dei più fragili, donando altresì alla città, una struttura socio residenziale di alto livello al servizio di tutti. A riprova del fatto che le strutture dirette da Luca Vigilante, incettano di certificazioni e riconoscimenti, come è ben nota la trasformazione del Don Uva, da clinica psichiatrica degna di un film di G. Romero, da ciurmaglia di pirati scansafatiche a centro polivalente sanitario e riabilitativo, fra i più avanzati e promettenti del mezzogiorno.

Certamente un modello innovativo di gestione d’impresa sanitaria incompatibile con le ambizioni di chi, con incommensurabile delizia, le ben convertirebbe a centri di reimpiego “monetizio”, catalizzatori di finanziamenti destinati alla sanità, a scapito (come già avvenuto con lo sport cittadino), di una sanità finalmente efficiente e innovativa. Ecce homo con mascherina e bicicletta, incaricato di spezzare i sogni di tanti anziani e disabili che in quella struttura di Via Vincenzo Acquaviva, avevano trovato rifugio, attenzioni e assistenza da parte di personale sanitario selezionato e preparato.

Ciò nonostante, dietro a quella saracinesca divelta dai segni dell’egoismo, troviamo gli arcobaleni dei nonnini del Sorriso di Stefano, con le scritte “Andrà tutto Bene”, i lavoretti del laboratorio e i tanti disegni di quella generazione che mai come oggi, sterminata dal mostro con la corona, rappresenta il punto di riferimento più alto, della nostra vita quotidiana, portatori sani del virus della saggezza e riconoscenti a quell’imprenditoria onesta che permette loro un luogo di buonumore e assistenza

A cura dell’ufficio stampa di Seometrics